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Ottimismo e pianificazione: il bias ottimistico

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Tutti gli uomini, sin dalla nascita, sembrano essere dotati di un “bias di ottimismo”.

Il concetto di bias cognitivo è stato introdotto dallo psicologo israeliano Kahneman, con la collaborazione di Tversky. I due studiosi misero in dubbio la verità indiscussa che considerava gli esseri umani del tutto logici e razionali.
Definiamo un bias cognitivo come una distorsione o un errore di valutazione di un individuo, in grado di influenzarne sia il comportamento che le scelte personali.

Un celebre bias descritto dallo studioso è il bias ottimistico, ed è la tendenza diffusa ad avere più ottimismo piuttosto che essere realisti. Sebbene agli uomini piaccia cullarsi nell’idea di essere razionali, la realtà ci dimostra come essi siano costantemente portati a guardare il mondo in una prospettiva del tutto benevola.
Essere ottimisti da un lato ci permette di vivere con maggior duttilità le nostre giornate, dall’altro può indurci in errore e portarci ad una sopravvalutazione delle nostre capacità.

FALLACIA DELLA PIANIFICAZIONE

È vero che gli ottimisti hanno una propensione a portare a termine i propri progetti?

Accanto alla visione del “bicchiere mezzo pieno”, gli individui ottimisti considerano i propri obiettivi molto più vicini di quanto in realtà siano. Un esempio pratico è possibile trarlo dalla vita universitaria. Qualsiasi studente, nella propria carriera, ha destinato parte del suo tempo alla stesura di un piano di studi, talvolta del tutto irrealizzabile. Gli studenti, anche se dotati della volontà di portar a termine gli obblighi universitari, architettano piani al di fuori della propria portata e che per ovvi motivi, non rispetteranno mai. Tversky e Kahneman definirono questo fenomeno come “fallacia della pianificazione”, caratterizzata dalla creazione di progetti lontani dalla realtà, con possibilità di poter essere migliorati.

OTTIMISMO E SELF-SERVING BIAS

La maggior parte degli individui ottimisti possiede la convinzione di essere più bravo della media delle persone. A prescindere dalla bravura, gli individui attribuiscono il proprio successo alle proprie capacità, ma relegano la colpa del proprio fallimento a fattori esterni. Siamo meritevoli dei successi ma mai colpevoli dei nostri fallimenti?

Tale comportamento, che prende il nome di self-serving bias (Zuckermann, 1979), consiste nella tendenza ottimistica a sopravvalutare le nostre capacità e a ridimensionare i nostri limiti, al fine di proteggere la nostra autostima. Al contrario, quando cerchiamo di spiegare il comportamento altrui, compiamo l’attribuzione opposta, e attribuiamo il comportamento a disposizioni personali piuttosto che a fattori contestuali.
Ad esempio, se Giovanni cade dalla bici è perché non è in grado di guidarla, ma se a cadere siamo noi è sicuramente colpa della bicicletta o della strada dissestata o di Giovanni che ci ha distratto.

Tuttavia, i nostri risultati non possono sempre essere spiegati facendo riferimento solo alle nostre capacità.

Nella metà degli anni 70, Ellen Langer condusse uno studio che aveva come oggetto l’estrazione alla lotteria. È a tutti noto come i biglietti abbiano statisticamente la stessa probabilità di essere estratti. La ricerca mise in luce, però, che i soggetti a cui veniva conferita la possibilità di scegliere il proprio biglietto, maturarono la convinzione che la propria scelta avesse influenzato l’estrazione. Coloro ai quali non era stata garantita la stessa possibilità, sostennero che l’esito dell’estrazione fosse dovuto al caso.

Un altro esempio potrebbe essere l’assunzione di sostanze stupefacenti. Pur essendo consapevoli degli effetti che derivano dalla loro assunzione, accade saltuariamente che molti individui non tengano conto dei rischi e facciano uso di tali sostanze. Il movente principale che induce le persone ad utilizzare stupefacenti è la credenza che gli esiti drammatici non li riguardino personalmente. L’invulnerabilità è una credenza a cui si affidano spesso le persone che sottovalutano i comportamenti rischiosi e che diventano vittime e carnefici del proprio destino.

OTTIMISMO E FALLACIA DEI COSTI SOMMERSI

Se gli individui ottimisti pianificano in maniera irrealizzabile e confidano eccessivamente nelle proprie capacità, è possibile che portino avanti progetti fallimentari?

La “fallacia dei costi sommersi” è in grado di spiegare come mai le persone continuino a investire risorse in una scelta che considerano perdente sin dall’inizio. Questa è la propensione a portare avanti delle attività per cui spendiamo energie o denaro, consapevoli dell’impossibilità di migliorare la situazione, ma con la speranza di un esito favorevole.

Questi comportamenti possono sembrare piuttosto lontani; questo fino a quando non riflettiamo su quante persone rimangano a lungo sulle proprie scelte o in relazioni malsane pur essendo a conoscenza dell’eventuale spreco. Tuttavia, il solo investimento delle risorse ci conduce a portare avanti i progetti in maniera ostinata. Questo si verifica anche in assenza di eccessiva sicurezza e velato ottimismo.

 

 


Bibliografia

Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori.

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