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Psicologia dell’hater: perché le persone criticano di più online

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“Perché le persone criticano di più online?”. È una delle domande che mi sento fare spesso, da amici, clienti e ultimamente persino dai miei familiari. Mio padre è entrato in contatto con il mondo di YouTube e ha notato un fatto straordinario: i video che guada sono zeppi di insulti, nella sezione commenti.

Quando decidi di intraprendere la tua avventura online, che tu comunichi ad amanti della psicologia, della medicina, di cucina, o a catlovers, avrai sempre una solida sicurezza: qualcuno sarà lì, sempre pronto a criticare qualunque cosa tu faccia.

Gli hater, così li chiamano, sono persone che criticano e odiano senza tregua, per una molteplicità di ragioni. Oggi, con l’ausilio della letteratura scientifica psicologica, andremo alla scoperta di questi personaggi, spesso senza volto né nome.

PERCHÈ LE PERSONE CRITICANO DI PIÙ ONLINE? CINQUE PUNTI SCIENTIFICI FONDAMENTALI

Qualcuno si è fatto un’idea. A inizio anni 2000, John Suler, inventore della cyberpsicologia, con più di 97 pubblicazioni all’attivo, se ne uscì con un paper dal titolo accattivante, appunto “The Online Disinhibition Effect”. Ciò che più mi colpì fu la precisione col quale venivano descritti i tratti dell’hater e delle motivazioni per le quali le persone sarebbero portate ad insultare maggiormente sulle piattaforme digitali. Ecco allora alcuni dei punti fondamentali, utili a rispondere all’annosa domanda:

Anonimità dissociativa (Dissociative anonymity)

Le persone, nel mondo online, possono con facilità assumere tratti di fantasia, nascondendo la propria identità reale. Basta un username e un’e-mail fasulla, e l’insulto è servito. In questo modo si sentirebbero più disinibite, percependo il digitale come una finzione, al contrario della vita reale.

Asincronia (asincronicity)

Nel digitale, la comunicazione è asincrona, al contrario della comunicazione viso a viso. Per intenderci. Atti di bullismo, di misoginia e body shaming dal vivo hanno un impatto percepito come subitaneo sia dalla vittima che dal carnefice. Questo non può avvenire online, dove ad un commento è possibile rispondere anche dopo giorni.

Immaginazione dissociativa (dissociative immagination)

Combinando l’opportunità di creare personaggi di fantasia, e il potersi dissociare facilmente da questi, secondo Suler l’utente reale potrebbe, consciamente o inconsciamente, dissociarsi dal suo alter-ego hater digitale. Questo comporterebbe una percezione inferiore di responsabilità legata al comportamento sui social e affini.

Minimizzazione del potere delle autorità competenti (Minimization of status and authority)

Le autorità esprimono il loro potere anche attraverso la simbologia insita nel logo, nelle divise e in alcune regole che sono impossibili da percepire nell’ambiente digitale. Per questo, gli hater, sarebbero portati a sottovalutare l’insulto e la critica “distruttiva”, minimizzandone il potenziale impatto sulla vittima e la gravità legale. Per lo stato, tuttavia, un insulto diffamatorio in un video su YouTube equivale allo stesso in ambiente reale e pertanto è egualmente punibile dalla legge.

Differenze individuali e predisposizione (individual differences and predispositions)

L’online disinibition effect non rappresenta l’unico fattore che predetermina se e quando una persona esibirà comportamenti da “odiatore”. Come sempre, è bene ricordare che le differenze individuali giocano sempre un ruolo fondamentale, soprattutto nel pratico. Non è detto che chi possieda un “avatar immaginario” su instagram o facebook sia il motivo per il quale le persone criticano di più online.

L’IMPATTO DEL MONDO ONLINE SUI GIOVANI

Dopo aver passato in rassegna le varie motivazioni che potrebbero portare una persona a rendersi maggiormente antipatica su social e forum in rete (ammesso che ne esistano ancora, di forum), poniamoci la seguente domanda. Il mondo online potrebbe promuovere condotte violente? La risposta è amara: secondo Desmond Upton Patton, lo spazio digitale contribuirebbe allo sviluppo di comportamenti violenti tra i giovani, come l’ahimè più che famoso cyber-bullismo.

Non possiamo farci nulla: i social, Google, Bing, Youtube e qualunque altra piattaforma sono degli strumenti che mostrano grandi opportunità e/o lati negativi in base all’utilizzo che si decide di farne. Esprimere se stessi, quindi, è sempre positivo, a patto che vada fatto in modo gentile. Anche se famosi, disponibili e attorniati da visual e followers, non conosciamo la storia personale dei creator con i quali stiamo interagendo. Nel dubbio, un like non guasta mai.

 

 


Bibliografia

Patton, D. U., Hong, J. S., Ranney, M., Patel, S., Kelley, C., Eschmann, R., & Washington, T. (2014). Social media as a vector for youth violence: A review of the literature. Computers in Human Behavior, 35, 548-553.

Suler, J. (2004). The online disinhibition effect. Cyberpsychology & behavior, 7(3), 321-326.

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