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Metacognizione e schizofrenia: il pensiero può pensare sé stesso?

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Molti soggetti affetti da schizofrenia sperimentano deficit nella cognizione sociale e metacognizione. Vediamo di approfondire l’argomento.

Metacognizione e schizofrenia: cosa significa che il pensiero può pensare se stesso?

La metacognizione è la consapevolezza dei propri processi cognitivi. Gli esseri umani hanno una notevole capacità di riflettere sul proprio comportamento e sui processi mentali. La metacognizione inizia a svilupparsi nei primi anni di vita con la scoperta della differenza fra realtà effettiva e realtà apparente per poi arrivare a includere anche altri aspetti (Daniel J. Siegel):

  • La consapevolezza del fatto che i sentimenti e le emozioni influenzano il pensiero e il comportamento.
  • Arrivare a comprendere che le proprie convinzioni e percezioni possono essere diverse da quelle di un’altra persona, anche se entrambe possono essere valide (diversità rappresentazionale).

La metacognizione quindi è un’abilità essenziale nel pensiero critico e nell’apprendimento permanente autoregolato. Le abilità nella metacognizione vengono utilizzate per monitorare e regolare il ragionamento, la comprensione e la risoluzione dei problemi. (Persky et al., 2017). La metacognizione consente all’individuo di modificare il comportamento in atto in modo adattivo e determinare cosa fare dopo in situazioni in cui il feedback esterno non è (immediatamente) disponibile. Inoltre si può affermare che le prestazioni metacognitive sono associate specificamente all’attività della banda theta prefrontale. (Ridderinkhof et al, 2017).

La metacognizione si impara?

Nell’ultimo decennio di ricerca sulla metacognizione, la letteratura si è concentrata sulla comprensione del suo meccanismo, funzione e ambito. Tuttavia si sa poco sulla possibilità di “addestrare” la capacità metacognitiva. Si è anche cercato di comprendere se la metacognizione potesse essere allenata attraverso un generico addestramento alla meditazione.

Con un esperimento è stata valutata l’efficienza metacognitiva dei partecipanti prima e dopo due tipi di protocolli di allenamento alla meditazione: il primo si concentrava sui segnali mentali (allenamento per il Monitoraggio Mentale), mentre il secondo si concentrava sui segnali del corpo (auto-osservazione del corpo [ SoB] formazione). I risultati hanno indicato che mentre l’efficienza metacognitiva era stabile nel gruppo di addestramento MM, era significativamente ridotta nel gruppo SoB dopo l’allenamento. Ciò che si può concludere è che la metacognizione non dovrebbe essere concepita come una capacità stabile, ma come un’abilità malleabile (Sackur et al, 2019). Fondamentale è il monitoraggio delle proprie prestazioni che ha come conseguenza un controllo comportamentale efficace. Quindi intervenire per migliorare la metacognizione può avere benefici diffusi, ad esempio in ambito educativo e clinico.

Concludendo, si può affermare che l’allenamento adattivo ha portato ad aumenti nella calibrazione metacognitiva, che ha generalizzato sia a stimoli non allenati che a un compito non allenato (memoria di riconoscimento) (Lau et al, 2019).

Metacognizione e schizofrenia: cosa dice la letteratura

Soggetti con disturbi dello spettro schizofrenico incontrano difficoltà a comprendere i sentimenti degli altri e nel riconoscimento delle emozioni. Ciò può derivare in parte da una combinazione di menomazioni nella capacità di giudicare gli stati cognitivi e affettivi degli altri e difficoltà che formano rappresentazioni complesse di sé e degli altri ( Dimaggio et al., 2014).

I meccanismi biologici alla base di questi deficit cognitivi sono poco conosciuti ma ha un ruolo fondamentale l’ossitocina (OT): livelli più bassi di OT erano associati a livelli più poveri di funzionamento metacognitivo in soggetti con schizofrenia ( Lysaker et al., 2018). I risultati supportano l’affermazione che i deficit nelle capacità di sintetizzare pensieri su se stessi, la metacognizione, e sugli altri in rappresentazioni più ampie sono una caratteristica unica della schizofrenia (Dimaggio et al., 2014).

Alcuni studi hanno evidenziato un ruolo patofisiologico dei costrutti metacognitivi nei sintomi psicotici, in particolare per ciò che riguarda le allucinazioni uditive: l’attribuzione dei fenomeni dispercettivi a sorgenti esterne coinvolge credenze metacognitive, in particolare credenze negative sull’incontrollabilità e il pericolo. Credenze metacognitive sull’udire voci influenzano significativamente le conseguenze emotive e comportamentali. Recenti ricerche, hanno evidenziato la presenza di correlazione tra deficit nella metacognizione e i sintomi, la qualità della vita, la neurocognizione e la scarsa consapevolezza della malattia utilizzando scale di valutazione, un esempio la Metacognition Assessment Scale (MAS), che indagano la narrazione di se e della propria patologia. (Rossi, 2008).

 

 


Bibliografia

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